Dai 25 anni, compiuti questo mese, dal colosso statunitense Google, fino ad arrivare alla nascita di ChatGpt: l’intelligenza artificiale (IA) in questo ultimo quarto di secolo si è mossa sui binari dell’alta velocità, costruendo intorno a noi un mondo nuovo e molto più complesso.
L’evoluzione tecnologica ci ha condotto alla machine learning, come oggi viene definita la capacità di generare nuovi contenuti, tra cui immagini, testi e musica, attraverso l’allenamento della macchina con prodotti culturali esistenti. Ed è qui che i tavoli di dibattito si spaccano e l’invito a fare una prudente regolamentazione arriva da tutte le parti.
A questo proposito, Microsoft Italia ha condiviso al forum di The European House Ambrosetti, che si è tenuto in questi primi giorni di settembre, i risultati del primo studio sull’impatto dell’IA sull’Italia e sul made in Italy. Vincenzo Esposito, Amministratore delegato di Microsoft Italia, ha commentato il report sottolineando che “grazie all’intelligenza artificiale si potrebbe aumentare il PIL italiano del 18%, che equivale a 5 miliardi e 700 milioni di ore lavorate. Una grande opportunità per il nostro Paese, che da anni ha un problema di produttività, e che in questo modo potrebbe compensare la curva demografica negativa”.
Senza contare che “il tessuto produttivo italiano è altamente attrattivo per questo tipo di investimenti, essendo composto da imprese di piccole e medie dimensioni, e l’uso dell’intelligenza artificiale può essere molto impattante”, ha aggiunto Esposito.
AI e Audiovisivo
Già da tempo il cinema utilizza il deep fake, la tecnologia di apprendimento automatico, per modificare o ricreare le caratteristiche di un volto o i movimenti del corpo partendo da contenuti reali video e audio. La parola “fake” del nome, anticipa il risvolto di questa tecnologia che permette la diffusione di notizie false, ma rese altamente credibili nelle apparenze.
La realtà diventa un bacino di informazioni che vengono “apprese” e rielaborate dall’intelligenza artificiale per migliorare la perfomance. Per prendere maggiore confidenza con questo scenario, ci viene in soccorso dal mondo dello streaming, il primo episodio della sesta stagione della serie Black Mirror, uscito lo scorso giugno. Joan Is Awful (Joan è terribile) racconta di una donna normale, spettatrice ma al contempo protagonista, anche se inconsapevole, di una serie TV, che mette in scena la sua vita, grazie a una clausola del contratto in cui permetteva allo streamer di utilizzare le sue sembianze e fare della sua vita uno script iper-realistico. Questo episodio è strettamente correlato alla protesta che gli attori americani stanno portando avanti in questi giorni, tanto che un membro della SAG-AFTRA (Screen Actors Guild-American Federation of Television and Radio Artists), il sindacato degli attori americani, che a luglio si è unito allo sciopero dei sceneggiatori e registi di tv e cinema, lo cita come il maggior incubo di un attore.
Uno dei punti della protesta insiste proprio sulla paura di vedere declassato il lavoro degli attori, ricondotti a “fonte di nuovi contenuti a basso costo creati dall’IA per gli studios”, come si legge sull’articolo di Deadline. Nell’episodio di Black Mirror prima citato, il dialogo tra Salma Hayek, che interpreta sé stessa mentre presta le sue sembianze per la serie su Joan, e il suo avvocato, è indicativo del sentiment che anima la protesta. E mentre lei chiede cosa si può fare per riprendersi la sua immagine digitale, lui risponde con un lapidario “Niente”.
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