Non appena l’Arabia Saudita ha deciso di riaprire le sale cinematografiche, alla fine del 2017, lo studio di produzione Telfaz11, guidato da Fadan, Al Khairallah e Ali Kalthami, ha preso il timone dell’espansione del cinema arabo. È sufficiente dire che la commedia “Sattar”, in cui un uomo depresso diventa un lottatore di wrestling freestyle, in sole due settimane è diventato il film locale di maggior successo, superando Barbie e Oppenheimer.
Una caratteristica dell’azienda fin dai suoi inizi, quando producevano i video per youtube alla fine degli anni 2000, è di rivolgersi al mercato locale con prodotti in grado di rappresentare la loro cultura ed esprimersi con la lingua madre, e sopratutto sono produzioni capaci di catalizzare la creatività, che per i 35 anni di divieto, si è espressa solo a livello clandestino. Anche la tempistica, abbinata all’analisi del box office, ha avuto un suo ruolo: Sattar è stato lanciato alla terza settimana di Avatar 2, cioè nel momento in cui i titoli legati alla fantascienza e l’animazione tendono generalmente a calare.
Ora Telfaz11 debutta al festival di Toronto con due lungometraggi: “Naga”, sullo stesso stile di Sattar, racconta di una giovane donna bloccata nel deserto arabo che cerca di tornare a casa prima del coprifuoco imposto dal padre. La commedia fa parte di un accordo di 8 film con Netflix firmato nel 2020.
“Mandoob”, invece, è il primo lungometraggio di Ali Kalthami, che attraverso l’espediente di un autista per le consegne a Riyadh, racconta la vita notturna saudita.
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