Tre dei protagonisti della televisione mondiale hanno discusso i compiti e le responsabilità di una delle figure chiave della produzione seriale.
GIANMARIA TAMMARO – La Stampa
Lo showrunner è uno dei ruoli più importanti della nuova televisione. È colui che sceglie le storie, che le struttura, che fa collaborare i vari reparti tra loro e che tiene una linea precisa di tutto il lavoro che viene fatto. È la chiave di volta, se preferite. E l’occhio del ciclone quando un episodio, una sceneggiatura o addirittura una serie intera non funzionano.
Al MIA (Mercato Internazionale dell’Audiovisivo) 2017, il ruolo dello showrunner è stato analizzato sotto ogni aspetto: compiti, poteri, responsabilità. A parlarne, tre dei protagonisti della produzione seriale di questi anni: Chris Brancato (“Narcos”), Evan Katz (“24”) e Frank Spotnitz (“The Man in The High Castle”, “I Medici”).
Punto di partenza: l’importanza, per uno showrunner, di saper collaborare con il proprio team. Non basta, hanno concordato i tre speakers, avere una grande storia se non si riescono a mettere insieme tutte le energie e tutte le competenze. «Il ruolo dello showrunner – ha detto Brancato – è stato per tanto tempo un ruolo puramente americano». Nato, cresciuto e pasciuto nel mercato a stelle e strisce. «La parte migliore di questo lavoro – è intervenuto Katz – è che sei autonomo, tutto dipende da te. La peggiore, invece, è che anche tutta la responsabilità, di successo o di insuccesso, è tua».
Un lavoro per persone con un carattere forte e deciso, e con un’idea precisa. «Quando sono tornato a fare cinema – ha raccontato Spotnitz – ho capito di non avere lo stesso potere». Quello dello showrunner, infatti, è un ruolo prettamente televisivo, sviluppato nel corso degli anni per fare fronte a una precisa esigenza: raccontare storie, farlo in modo continuo, con più episodi, concentrando sforzi e successi.
Con l’internazionalizzazione del mercato televisivo, non solo i contenuti ma anche le figure professionali come questa si sono diffuse in tutto il mondo e in tutte le produzioni. Quello che è importante capire, ha tenuto a precisare sempre Spotnitz, è che «per fare una buona serie, la presenza dello showrunner non è fondamentale».
Ora che la produzione delle serie tv ha raggiunto il suo massimo storico, bisogna anche capire come questo abbia influito sulla costruzione degli show. «La sfida – ha detto Brancato – è con la tecnologia. E con tutta questa competizione, molte idee vengono scartate». Quella che vediamo, insomma, è una delle migliori televisioni possibili. Una televisione che è figlia non solo dei broadcaster tradizionali, ora in profonda crisi e rivoluzione, ma anche dei canali via cavo, che si sono velocemente imposti con la qualità delle loro serie, e delle piattaforme di streaming.
E più aumenta la competizione, più, per fare un buon prodotto, aumenta il budget. Il modo migliore per raccoglierlo, qui in Europa, resta quello di cercare vari partner. Ogni cosa ha i suoi lati positivi e negativi. Ne ha la televisione pubblica, che permette di raggiungere contemporaneamente un larghissimo pubblico ma che ha delle limitazioni editoriali piuttosto importanti. E ne hanno anche le piattaforme streaming che, come ha detto Spotnitz, hanno «eliminato la conversazione tra le persone. Perché hanno paura di spoiler». E poi ci sono le differenze, fondamentali, su come una storia viene gestita. E anche questo, per tornare al punto di partenza, rientra tra i compiti dello showrunner: un mediatore, un capitano di vascello e un uomo-chiave sul dentro e fuori dal set.
E l’Italia? «Ricca di talenti e di qualità», per Spotnitz. Anche qui le cose stanno cambiando. E la figura dello showrunner, se pensiamo alle ultime serie prodotte, è entrata prepotentemente sui nostri set. Ma più che organizzatore generale, in Italia lo showrunner è un direttore editoriale, uno che mantiene una visione di insieme. Un punto di riferimento, certo, ma ancora non così emancipato com’è, per esempio, negli Stati Uniti.