Il Consiglio dei Ministri ha ufficialmente approvato i decreti sul cinema italiano voluti dal ministro Dario Franceschini, non senza difficoltà dovute all’opposizione dei principali broadcaster.
In sintesi, le nuove norme (che saranno attuate dal primo gennaio 2018, con un periodo di “adattamento” fino al 2021) riguarderanno le quote di programmazione e di investimento dei broadcaster che operano in Italia (inclusi giganti come Netflix e Amazon), la tutela dei lavoratori e una nuova classificazione dei film che di fatto abolisce la censura.
Per quel che riguarda le quote di programmazione, la legge mira alla promozione di opere europee e italiane mediante un’imposizione di una quota minima di programmazione al 53% entro il 2019, al 56% nel 2020 e 60% entro il 2021. Per la RAI, metà di questa quota calcolata su base annuale deve essere dedicata a film, serie tv, documentari e film d’animazione italiani, oppure a programmi di conclamato valore scientifico o culturale. Per gli altri operatori, invece, questa quota si attesta a un terzo del totale. Per il prime-time (18-23), calcolato invece su base settimanale, le quote dedicate alle opere italiane saranno invece al 12% per la RAI e al 6% per le altre emittenti.
Gli investimenti per gli operatori privati si attestano al 10% degli introiti annui, quota che aumenterà al 12,5% nel 2019 e al 15% nel 2020. Per la RAI, dalla quota di partenza del 15% si arriverà al 18,5% nel 2019 e al 20% nel 2020.
Una delle principali novità riguarda la censura: grazie a un nuovo sistema di classificazione dei film, che aggiunge una nuova categoria, “vietato ai minori di 6 anni”, che di fatto fa scomparire il divieto di uscita in sala di un’opera. Gli operatori cinematografici saranno chiamati a individuare la corretta fascia d’età dell’opera e a sottoporla alla Commissione per la classificazione. Sarà previsto anche un regolamento Agcom per le opere audiovisive destinate al web e per i videogiochi.