“Siamo nel business giusto”. Questo Marco Chimenz ha tenuto a ripetere diverse volte al pubblico di addetti ai lavori che oggi gremiva la sala congressi di via Alibert a Roma, nel suo applauditissimo intervento al convegno su “Dove va il cinema italiano?” organizzato dall’Anica e presieduto da Francesco Rutelli.
L’amministratore delegato di Cattleya, oltre che presidente dello European Producers Club, che raggruppa un centinaio tra i maggiori produttori indipendenti di Cinema e Tv europei, forte della sua pluriennale esperienza estera (come responsabile delle vendite internazionali di fiction tv per Mediaset e poi Executive Vice President per Medusa Film a Los Angeles), ha sottolineato le enormi opportunità che la rivoluzione digitale in atto sta offrendo a tutti i player del mercato dell’audiovisivo. Perché nel business del “racconto per immagini” ci stanno investendo in tanti, da AT&T che ha comprato Time Warner per non far la fine del “tubo scemo”, cioè di chi non sa cosa passa per i suoi cavi, a chi ne era totalmente a digiuno fino a poco tempo fa, come i colossi di Amazon, Apple e Netflix, che solo dal 2008 ha attivato il servizio streaming e le cui recenti produzioni filmiche hanno addirittura concorso all’ultimo festival cinematografico di Cannes.
Per Chimenz si deve saper rispondere ai cambiamenti in atto, che riguardano non solo la competizione dei nuovi players, ma pure le opportunità di una fruizione sempre più diversificata (tra sala cinematografica, tv e dispositivi mobili come tablet, pc e smartphone), consapevoli del fatto che il bisogno di contenuti aumenterà in modo esponenziale nei prossimi anni. Molti autorevoli studi di settore prevedono infatti, grazie alla diffusione della banda larga, che nel giro di tre lustri gli exabytes triplicheranno (l’exabyte è l’unità di misura dell’informazione digitale, e indica la sesta potenza di mille). Da una parte c’è il modello OTT, le imprese che tramite internet forniscono servizi e contenuti video senza passare dal cavo, e dall’altro gli stessi media tradizionali rafforzano e sviluppano la loro presenza sul web, per offrire al consumatore una specie di formula all you can see, in modo che lo spettatore veda quello che vuole e come e quando vuole.
Quanto e in che modo tutto questo influenzerà il gusto del pubblico è difficile dirlo, ma in ogni caso per Chimenz l’industria dell’audiovisivo italiano deve sapersi rinnovare senza adagiarsi troppo sugli allori del passato. E per illustrare e motivare l’uditorio ha raccontato una storia che riguarda il tennista Roger Federer, proiettando due brevi spezzoni di due incontri che ebbe col suo rivale storico Rafael Nadal. Del campione svizzero Chimenz ha ricordato l’infortunio al menisco, che lo obbligò a sospendere l’attività agonistica per mesi annullando tutti gli impegni presi in precedenza. Ma Federer non si perse d’animo. Pur avendo già vinto tantissimo nella sua carriera, onusto di gloria e di premi, approfittò di quella sosta forzata per modernizzare il suo gioco, che segnava un po’ il passo rispetto a quello più potente e aggressivo di Nadal, e al ritorno in campo spiazzò tutti presentandosi con una racchetta dal piatto corde più grande e giocando di anticipo a ridosso della linea di fondo campo, tornando così vincente nelle grandi competizioni.
Sul fuoriclasse di Basilea finora conoscevamo solo il bel saggio di David Foster Wallace (Federer come esperienza religiosa, Einaudi), in cui il grande scrittore americano analizzava la finale di Wimbledon del 2006 con lo spagnolo e spiegava come il “vedere da vicino la potenza e l’aggressività rese vulnerabili dalla bellezza significa sentirsi ispirati e riconciliati”, perché arte e religione hanno molto in comune, a partire dalla vocazione; ma ora grazie a Chimenz assoceremo il nome di Federer anche al promettente avvenire dell’audiovisivo italiano.